Secondo le stime elaborate dal Centro Studi CGIA di Mestre, anche quest’anno la pressione tributaria rimane alta, continuando a superare i 42 punti percentuali. L’insieme delle imposte rappresenterà infatti il 42,3% del PIL (contro il 42,6% dell’anno scorso). Il primo “giorno di libertà” dalle tasse sarà insomma il 19 giugno.
Lo stipendio che un impiegato percepirà fino a questa data, infatti, sarà completamente destinato a coprire i versamenti dovuti allo Stato per il 2017. I primi 170 giorni lavorativi dell’anno, quindi, se ne andranno in tasse (per coloro che hanno un reddito di circa 50.000 euro annui). Diversa la situazione per un operaio-tipo (reddito di 25.000 euro), per il quale il Tax Freedom Day è anticipato all’11 maggio.
Ma perché, se la pressione fiscale è stata effettivamente diminuita (-7 miliardi rispetto al 2016), la schiavitù fiscale non cambia? Questo apparente paradosso è si spiega evidenziando che le imposte interessate dai tagli sono state quelle riguardanti le imprese, come l’Ires. Non è stato attuato alcun intervento, invece, sul fronte dell’Irpef (che costituisce oltre il 50% del totale delle imposte dovute al fisco, per il cittadino). Contributi (20%) e Iva (15%) sono le altre due voci che rappresentano le porzioni più rilevanti di stipendio che i lavoratori verseranno in tasse.
Uniche buone notizie sono la conferma dell’esenzione da Imu e Tasi per la prima casa, nonché l’impossibilità – per gli enti locali – di aumentare la pressione fiscale.
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