Appena l’anno scorso secondo una ricerca di Unioncamere, l’associazione italiana delle Camere di Commercio, il Lazio risultava essere la prima regione italiana per tasso di crescita delle imprese. Un dato positivo, non c’è dubbio. La ripresa era ancora fragile e non strutturale, come riconosceva lo stesso Presidente della Regione Nicola Zingaretti.
Per trasformare la ripresina fragile in ripresa strutturale non bisogna guardare solo al numero delle imprese.
Al contrario, bisognerebbe tener conto anche del loro peso, delle loro dimensioni e soprattutto della loro capacità di penetrazione dei mercati esteri. E questo non per un banale vezzo patriottico, ma perché la capacità di agganciare mercati dove la domanda è più dinamica che da noi significa garantire i posti di lavoro che ci sono da noi. E magari anche crearne di nuovi.
Il vecchio slogan del piccolo è bello è stato anche una trappola. È vero che il tessuto economico della nostra regione, e dell’Italia in genere, è fatto di quelle piccole e medie imprese che nel passato hanno creato un capitalismo diffuso e un benessere altrettanto diffuso. E anche vero, però, che non sempre il piccolo imprenditore ha quelle competenze per fare il salto di qualità, per guardare anche ai mercati lontani da casa. Eppure le opportunità ci sono.
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