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Ecco perché l’Irlanda non vuole i 13 miliardi di euro da Apple

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1 Settembre 2016
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Ecco perché l’Irlanda non vuole i 13 miliardi di euro da Apple

Apple e i 13 miliardi di tasse evase (secondo Bruxelles)

L’Irlanda fa appello contro la richiesta della Commissione Europea ad Apple di pagare 13 miliardi di euro al fisco irlandese come tasse dovute. Sembra un paradosso: uno Stato che rifiuta 13 miliardi di euro di tasse dovute. La cifra contesa non peserebbe poi tanto sui conti della “mela” di Steve Jobs, visto il fatturato multimiliardario, ma rischia di pesare sull’Irlanda. I 13 miliardi di euro farebbero comodo al fisco irlandese, anche se andrebbero a colmare il debito pubblico, ma la ricaduta di una sanzione del genere sarebbe ben più grave. Un irlandese su 5 lavora infatti in una multinazionale poiché il regime fiscale competitivo per le aziende instaurato in Irlanda ha attirato tantissimi colossi sull’isola. Se Apple sarà spinta ad abbandonare l’Irlanda anche altri seguiranno e il paese rischia una nuova crisi economica, dopo quella del 2010. In realtà la contesa tra la multinazionale di Cupertino e la Commissione Europea si gioca sul campo ben più grande della ridefinizione delle regole del commercio globale.

Il Governo irlandese intende fare ricorso contro il giudizio della Commissione Europea che ha ordinato a Apple di pagare 13 miliardi (più interessi) di tasse arretrate a Dublino ed equiparate da Bruxelles ad aiuti di Stato. «Sono profondamente in disaccordo con la decisione- ha detto il ministro delle Finanze irlandese, Michael Noonan, parlando di invasione di campo nelle prerogative in materia fiscale degli Stati membri -. Non mi resta che chiedere l’approvazione del Consiglio dei ministri per fare ricorso davanti alla Corte di giustizia europea» .

Può sembrare un paradosso di fronte a entrate che, per l’erario irlandese, equivarrebbero al budget sanitario di un anno intero. Tuttavia bisogna considerare le ricadute future per l’attrattività di Dublino, vero e proprio magnete per le multinazionali (soprattutto americane), spinte a stabilirsi nella capitale irlandese dal regime fiscale favorevole.

La sola Apple in Irlanda dà lavoro a 5.500 persone, una persona su cinque nel Paese lavora in una multinazionale. Il contributo di questi investimenti è stato decisivo per la ripresa dell’isola da una grave crisi economico-finanziaria che l’ha obbligata, nel 2010, a chiedere un piano di aiuti internazionali da 67,5 miliardi.

L’accusa

L’accusa nei confronti di Dublino e Apple riguarda due “tax ruling” del 1991 e del 2007, accordi fiscali relativi agli utili imponibili di due società di diritto irlandese appartenenti al gruppo (Apple Sales International e Apple Operations Europe) alle quali facevano capo tutti i profitti derivanti dalle vendite in Europa della multinazionale. Grazie ai tax ruling, solo una piccola parte di questi utili veniva tassata con la già favorevole corporate tax irlandese (12,5%); la quasi totalità veniva invece attribuita a una “sede centrale” che non aveva nessun ufficio reale né dipendenti e le cui attività consistevano esclusivamente in sporadiche (e brevi: non più di 20 minuti) riunioni del consiglio di amministrazione. In virtù di specifiche disposizioni del diritto tributario irlandese, oggi non più in vigore, gli utili attribuiti alla sede centrale non erano dunque soggetti a tassazione in nessun Paese. In questo modo la multinazionale di Cupertino, secondo la Commissione, ha pagato sugli utili di Apple Sales International soltanto un’aliquota effettiva dell’imposta sulle società che dall’1% del 2003 è via via scesa fino allo 0,005% del 2014.

 

Redazione Commercity Blog

 

 

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