“Un utilizzo della dotazione aziendale per fini personali non sporadica o eccezionale ma, al contrario, sistematica, può provocare il licenziamento ”.
Questo stabilisce la Corte di Cassazione a proposito dell’uso di smartphone, tablet o computer aziendale per la navigazione privata. La sentenza n.14862/2017 sancisce la possibilità di essere licenziati per aver navigato su internet per scopi personali mentre si è a lavoro.
La sentenza è stata emessa dopo che un dipendente è stato licenziato dalla propria azienda per aver navigato in rete con il pc aziendale. Sono state ben 27 le connessioni effettuate nell’arco di due mesi con una durata di accesso complessiva di 45 ore. Il diretto interessato ha contestato invano il licenziamento, appellandosi alla privacy; tuttavia il datore di lavoro non aveva analizzato né i siti frequentati dal lavoratore, né i file scaricati.
Come spiega l’avvocato Alessandro De Palma: “La privacy, così come i controlli a distanza, in un caso come questo non c’entra: il dipendente in questione, semplicemente, non ha adempiuto ai suoi obblighi”.
Il fondamento giuridico su cui la Suprema Corte si basa è inattaccabile. Il contratto di lavoro è, difatti, fonte di obblighi per entrambe le parti.
L’art.2094 c.c. ricorda che è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro. Qualunque sia la durata delle connessioni personali ad internet, il dipendente non sta lavorando in quei momenti, o quantomeno non lavora come dovrebbe; quindi è perseguibile per non aver adempiuto al principale dei suoi obblighi, ovvero rendere una prestazione lavorativa.
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